Raga, vi vogliono silenziosi e divisi: lottate, lottate,lottate.
Difendete la vostra vita.
Michele, trenta anni, si è tolto la vita stanco di disoccupazione e
di precariato. I genitori hanno voluto pubblicare su Il Messaggero Veneto, la
lettera-denuncia del figlio.
Riportiamo qui la lettera di Michele apparsa oggi
7 febbraio 2017 sul Messaggero Veneto
di MICHELE
Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo
poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di
sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti
errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo
usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono
mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di
fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di
lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per
l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare,
stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia
esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative
di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a
pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di
essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande
qualità.
Tutte balle. Se la
sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non
lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una
dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative,
sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa
inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può
pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di
essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere
di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le
cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere
nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio
problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno
partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il
mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a
continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di
garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per
impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da
niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla
con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere,
per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto,
cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il
minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma
il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si
vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi
in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da
un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe
suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose
per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto
che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste
l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere,
allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo
conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è
tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è
davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo
da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva
nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal
fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che
fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e
ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo.
Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il
libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi
sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non
qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il
nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo
il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se
potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos.
Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto
della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i
bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle
mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro
Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho
potuto.
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