venerdì 31 ottobre 2014

Quando il miracolo è strano

In concomitanza con il Comunicato stampa dell’ISTAT il Presidente del Consiglio ha diffuso un messaggio su Twitter  di questo tono

Aumentano i posti di lavoro: più 82mila sul mese scorso, più 150mila da aprile. Solo con il lavoro #italiariparte

Dal Comunicato ISTAT di oggi  possiamo leggere

A settembre 2014 il tasso di disoccupazione è pari al 12,6%, in aumento dello 0,1% su agosto

ALLORA COME SPIEGARE IL MIRACOLO DI CUI PARLA RENZI?
Qui un articolo più dettagliato

NEI FATTI SONO AUMENTATI LIEVEMENTE GLI OCCUPATI  E SONO AUMENTATI ANCHE QUELLI CHE CERCANO LAVORO
NEI FATTI IL MIRACOLO ANCORA NON C’E’.
 Allora un po’ di pazienza Presidente,  abbiamo necessita di leggere dati di disoccupazione del 5% per parlare di miglioramento e di 0,0% disoccupati per parlare di miracolo.

Immagine – il San Matteo, ma quello del Caravaggio.

giovedì 30 ottobre 2014

Azione di contenimento

 Quella di ieri 29 ottobre 2014 è stata chiamata “azione di contenimento”, e si è tradotta in una scarica di manganellate sugli operai con alcuni feriti.
Il malessere è forte,  e chi pensa di perdere il lavoro pensa anche di non poter trovare mai più alcun lavoro. Questo malessere non può essere curato con le manganellate e il clima di non ascolto che stanno creando alcuni politici con dichiarazioni di disprezzo nei confronti del sindacato non favorisce la distensione e la soluzione dei gravi problemi.


mercoledì 29 ottobre 2014

un sud più sud e con meno bambini


 Nel Sud d’Italia nel 2013 ci sono stati più morti che nati  
 Il rapporto SVIMEZ 2014 presentato il 28 ottobre al Tempio Adriano Roma, fornisce la radiografia di un sud punta avanzata della recessione in Italia.

  Il Mezzogiorno ha subìto tra il 2008 e il 2013 una caduta dell’occupazione del 9%, quattro volte superiore a quella del Centro-Nord (-2,4%). Dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila sono nel Sud.

La contrazione dei consumi delle famiglie meridionali è stata e continua ad essere
particolarmente intensa, e maggiore che nel resto del Paese, per gli acquisti più facilmente comprimibili, come quelli di vestiario e calzature: -6,4% nel 2013, contro il -4,7% del Centro-Nord; -23,7% cumulato contro il -13,8% nel complesso del sessennio 2008-2013.

Gli investimenti fissi lordi hanno segnato anche nel 2013 una caduta maggiore al Sud che al Centro-Nord: -5,2% a fronte del -4,6%. Nel complesso del sessennio 2008-2013, la riduzione cumulata degli investimenti è arrivata a commisurarsi nel - 33%, quasi 9 punti in più rispetto al Centro-Nord (-24,5%).
 Nel periodo di crisi (2008-2013), l’economia meridionale è calata di circa il doppio rispetto al resto del Paese (-13,3% rispetto al -7% del Centro-Nord).

Il numero dei nati nel Mezzogiorno ha toccato nel 2013 il suo minimo storico: 177 mila. Il valore più basso dall’Unità d’Italia.
 Numero medio di figli per donna
                        1980      2012
Mezzogiorno   2,20        1,36
Centro-Nord    1,36        1,46
Teoricamente, mantenendo il trend di questi dati, il Sud alla fine del prossimo cinquantennio, perderà 4,2 milioni di abitanti.
Come interpretare questo dato di calo delle nascite? Non è solo il cambiamento dei consumi, non è solo frutto della nuova miseria, c’è un elemento sostanziale: il sud va diventando un pianeta di vecchi poiché molti giovani tendono a scappar via … Il Rapporto, infatti, mette in luce i flussi migratori calcolati in base ai cambi di residenza nel periodo 2001-2013 : Emigrati dal Sud 1.559.100 ;  Rientrati 851.000  ;  Saldo migratorio netto 708.100 (ben 188.000 emigrati definitivi erano laureati).
Se vengono a mancare i giovani non possono essere i vecchi con il bonus bebè del Governo Renzi che faranno riprendere le nascite nel Mezzogiorno.


martedì 28 ottobre 2014

dalla concertazione allo sconcerto


Nostalgia della concertazione questo paese certo no ne può avere. Per concertazione si è inteso un confronto tra Governo e parti sociali (sindacati confederali e confindustria) prima di mettere mano a questioni rilevanti sul pano dell’economia e del lavoro.
Il modello della concertazione si affermò nel nostro paese soprattutto negli anni novanta;  uno dei risultati fu il non brillante protocollo del 23 luglio 1993. Grandi sostenitori del modello concertativo sono stati Ciampi e Prodi.  La prima botta al modello concertativo la diede l’esecutivo di Berlusconi, la botta definitiva pare che la intende dare l’esecutivo di Renzi.
Era auspicabile il superamento del modello della concertazione per passare a un modello di dialogo sociale diffuso dove i diversi soggetti si assumessero in pieno le loro responsabilità.
 Certo non fa una grinza l’affermazione di Renzi quando dice che è il Governo che propone le leggi e che deve fare i conti con il Parlamento massimo organo legislativo; ma il Soggetto Politico (Governo e Parlamento) ha il dovere di sentire le componenti sociali, le leggi non possono nascere per ispirazione divina.
 Quando Renzi viene a dire “ascolteremo ma tireremo dritti per la nostra strada” è solo un modo provocatorio per dire una affermazione senza senso;  si ascolta per raccogliere tutte le possibilità di migliorare una legge, e partire dalla pregiudiziale che non ci saranno modifiche non è di certo un ascolto.
 Passiamo ai metodi di ascolto:  non è certo un buon modo convocare i sindacati per un’oretta giusto per dire cosa il Governo intende fare.
 Vediamo come si prendono le decisioni: non è certo un buon modo fare approvare la Legge delega sul lavoro al Parlamento con  un voto di fiducia.
 Riguardo poi ai contenuti di tutta la materia sulla riforma del mercato del lavoro possiamo dire che siamo all’oscuro:   da parte del Governo giusto le minacce di togliere definitivamente l’art. 18 e niente di preciso sul welfare generalizzato; da parte dei sindacati solo diverse sfumature do no con assenza di proposte forti.
 Si può dire che siamo passati dalla concertazione allo sconcerto. Certo resta lo sciopero ma anche in questo caso è necessario un ascolto, altrimenti il dispotismo illuminato si trasforma in dittatura.
28/10/2014 francesco zaffuto


Immagine – vecchia immagine di sciopero nel film Tempi moderni

domenica 26 ottobre 2014

Torino A come agricoltura


Nel terreno di quella che è stata la Fiat, nella Torino abbandonata da Marchionne si scopre  la A come agricoltura, una agricoltura attenta alla qualità del cibo, al rispetto per l’ambiente e al rispetto degli uomini che ci lavorano
In questi giorni (23-27 ottobre) si sta svolgendo presso il Lingotto Fere di Torino , la diciottesima edizione del Salone del Gusto e Terra Madre 2014.
In soli 2 giorni ci sono stati 80 mila visitatori, molti giovani e intere scolaresche; un successo per Carlo Petrini, detto Carlin, anima, mente e braccio di Slow Food e di Terra Madre, che con questa edizione è riuscito a realizzare un’Arca internazionale dedicata alla tutela della biodiversità e all’agricoltura familiare.
  L’agricoltura può dare pane e lavoro ed anche un po’ di allegria e di felicità se ben indirizzata verso i bisogni dell’uomo. Agricoltura significa anche una precisa proposta per i paesi in via di sviluppo e in particolare per l’Africa.
Carlo Petrini ha ricordato che  il cibo è un patrimonio dell'umanità tutta,  e che bisogna condividere e far circolare l'idea che il cibo sia nutrimento, cultura, economia e…felicità.  Arrivare ad una visione di intelligenza affettiva, di condivisione delle risorse tramite il cibo e la sua produzione  e che così come esiste il valore del "bello", così c'è il valore del gusto, che va coltivato e insegnato.
 Occorre prendere atto che siamo seduti su una miniere d'oro e questa  è il settore agro-alimentare, e che dobbiamo tornare alla terra, in quanto "non mangeremo i computer". Negli anni '50 i contadini erano in Italia il 50%, ora sono solo il 3%, e questo ci deve far riflettere. 
 Valorizzare la diversità, come forza creatrice, investire nella reciprocità, tipica delle civiltà rurali, puntare sul dialogo e sull’incontro tra contadini e, ad un grado superiore, tra uomini: in questi tre passaggi si deve condensare il processo di trasformazione della società mondiale. Che, soprattutto, deve portare a far crescere l’economia verde e far decrescere i consumi industriali. 

 “I principali depositari dei saperi tradizionali sono gli indigeni, i contadini, le donne e gli anziani”, ha detto Petrini, sottolineando come proprio questa gente umile sia portatrice di una nuova rivoluzione “dal basso”, rivoluzione che Terra Madre ha il compito di contribuire a realizzare. “Tutto deve cominciare e tutto è già ricominciato”, ha proseguito Petrini, rivolgendosi ai molti giovani presenti, “a voi è stata data una grande opportunità: conciliare la scienza e le moderne tecnologie con i saperi tradizionali”. 

sabato 25 ottobre 2014

Alta tecnologia: profitti e tagli


Apple chiude il quarto trimestre dell'esercizio fiscale con un utile netto di 8,5 miliardi di dollari, o 1,42 dollari per azione, in aumento rispetto ai 7,5 miliardi di dollari dello stesso periodo del 2013.

L'operazione di Microsoft, che porterà agli smartphone che si chiameranno infatti Microsoft Lumia  con l'addio alla scritta Nokia, comporterà un forte taglio dei posti lavoro, meno 18.000 unita' di cui 12.500 proprio in Nokia.
http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/hitech/2014/10/22/microsoft-toglie-nokia-da-smartphone_234f2dc1-ea93-40a7-a85b-ae4571f41e7f.html

venerdì 17 ottobre 2014

Breve lettera a Renzi


Inviata tramite  mail a  - passodopopasso@governo.it

Egregio Presidente del Consiglio Matteo Renzi
Leggo sui quotidiani nazionali: «Incentivi - ha spiegato il presidente del Consiglio - che permetteranno per un triennio di non pagare contributi per chi fa assunzioni a tempo indeterminato».
 Si tratta di sgravi contributivi che devono essere ancora definiti, che in qualche modo graveranno sulla collettività e per i quali le aziende ricaveranno un beneficio. Allora perché non chiedere alle stesse aziende una collaborazione con lo Stato per la riorganizzazione del welfare, una minima ma preziosa collaborazione:
almeno il 50% delle assunzioni tramite liste pubbliche di collocamento.
Chi cerca lavoro è lasciato solo dallo Stato  in una disperazione che può durare mesi e anni.  E’ estremamente necessario che i tempi di attesa producano una forma  di precedenza per evitare gesti estremi di disperazione.
E’ necessario che domanda e offerta di lavoro si possano incontrare tramite liste di attesa pubbliche e all’interno di un modello informatico centralizzato, chi sarà in lista di attesa e dichiara la sua disponibilità al lavoro potrà fruire di una indennità di disoccupazione generalizzata, con le liste di attesa lo Stato potrà conoscere la reale entità del fenomeno disoccupazione. Si eviteranno anche sprechi, perché chi fruisce di una indennità di disoccupazione dovrà occupare il posto per cui viene chiamato o perde l’indennità.
Distinti saluti
f.to Francesco Zaffuto

il 17/10/2014

lunedì 6 ottobre 2014

Disoccupazione in USA e da noi

Ci dicono che in USA
L'economia americana ha creato altri 248.000 posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso al 5,9%. Il dato è migliore delle attese degli analisti, che scommettevano su un 6,1%. Il settore delle costruzioni ha creato 16.000 posti di lavoro, quello dei servizi professionali 81.000 mentre nel settore sanitario sono state create 23.000 posizioni.
Ci dicono anche che in USA
  Il tasso di partecipazione alla forza lavoro è calato al 62,7%, al livello più basso dal febbraio 1978. Circa 9,3 milioni di americani sono in settembre a caccia di un lavoro e 7,1 milioni sono bloccati in lavori part time perché non possono trovare un lavoro a tempo pieno. Il tasso di sotto occupazione, che include i lavoratori part time non per scelta e gli americani troppo scoraggiati per cercare lavoro, è sceso ai minimi dall'ottobre 2008.
I migliori risultati - secondo uno studio redatto da alcuni economisti della Fed di New York - potrebbero essere solo frutto di un "miraggio statistico" che riflette il calo della forza lavoro ai minimi dal 1978 negli Stati Uniti a fronte di una stabilità di quella europea. Due diverse realtà, quella americana e quella europea, che riflettono due diverse ricette per affrontare una crisi che ha assunto forme diverse negli Stati Uniti e in Europa. http://www.americaoggi.info/2014/10/04/42028-economia-usa-disoccupazione-al-5-9


Ci dicono pure che in Europa
In Eurozona la  disoccupazione all'11,8% frutto di una media con dati ben diversi tra un paese e l’altro: Germania 4,9%; Regno unito 6,2%; Italia 12,6%; Francia 10,2; Spagna 24,5%; Grecia 27%, (dati da internet Luglio)
Si evidenzia che dal punto di vista dell’occupazione che gli Stati Uniti sono uniti;  mentre gli stati europei, pur facendo parte della UE,  sono ben diversi tra loro.

In particolare in Italia
Ad agosto 2014  Il tasso di disoccupazione è stato  pari al 12,3%, il picco più elevato della disoccupazione si era registrato in febbraio con la punta del 13%. La disoccupazione giovanile è continuata a salire fino a raggiungere in agosto il dato del 44,2%.
La crisi si comincia ad avvertire nel 2008 e nel 2009 eravamo nel pieno e dovevamo esserne tutti consapevoli, ecco i dati della disoccupazione nel 2009 e quelli di oggi.
In USA in ottobre 2009  il tasso di disoccupazione era del 10,2%, - 0ggi è del  5,9%
In Italia  ottobre 2009  il tasso di disoccupazione era dell’8,2%,  -  oggi è del 12,3%
Nel Gennaio 2011 in Italia il tasso di disoccupazione era ancora  dell'8,6%
(sul blog lacrisi2009 mi occupai di seguire l’andamento della disoccupazione dall’ottobre del 2009 fino al gennaio 2011 - http://www.lacrisi2009.com/2009/03/disoccupazione-e-disperazione.html
I dati si consideravano allarmanti e si chiedevano cure, le cure ci sono state e sono servite ad aggravare il fenomeno)
$ / € qualche differenza negli interventi USA ed Europa
Tra USA ed Europa la differenza sostanziale in questi anni di crisi è stata: in Europa si è difeso l’euro da possibili svalutazioni e si è imposto il contenimento delle spese degli stati, in USA Obama ha immesso nel sistema dollari per 2.000 miliardi. Non so se la ricetta Obama poteva avere un buon effetto in Europa, ma è certo che la ricetta europea sul fronte dell’occupazione non ha avuto un buon effetto
06/10/14 francesco zaffuto

giovedì 2 ottobre 2014

TFR, come raschiare il fondo del barile


 Il TFR è una mensilità che si matura per ogni anno di lavoro e che viene accantonata per essere corrisposta al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Perciò per chi guadagna 1.200 euro al mese ci sono circa 1.200 euro l’anno; trovarseli in busta paga mensilmente equivale a non più di cento euro da spendere subito; spenderli subito equivale a non trovarli più al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
 La cessazione del rapporto di lavoro si può avere in tre casi: per maturata età di pensione, per dimissioni, per licenziamento. I più fortunati ricevono il TFR al momento della pensione;  si ritrovano un gruzzoletto con cui non si possono fare grandi cose, ma si può far fronte a qualche problema di salute in vecchiaia  o aiutare un figlio in difficoltà o farsi finalmente qualche vacanza.   Se hai perso il lavoro prima della pensione il TFR è una specie di margine che ti aiuta per qualche mese prima di entrare in disperazione.
  Il TFR è stato nella dinamica salariale un fondo di riserva per il lavoratore che ha difficoltà a mettere qualche soldo da parte, e nella logica del fondo è stata data la possibilità di utilizzare un anticipo del TFR in momenti importanti come l’acquisto o la ristrutturazione della casa o qualche problema di salute in famiglia.
 Qualche anno fa si è consigliato ai lavoratori di mettere il TFR in un fondo pensione, paventando pensioni più magre nel futuro perché calcolate con il nuovo sistema contributivo. Oggi i consigli cominciano a cambiare e spicca quello del: mangiatelo subito mese per mese, così fai alzare la domanda e tiri su l’economia, cosa importa se alla fine non avrai più il gruzzoletto. La proposta di inserire il TFR in busta paga al momento è allo studio delle menti grigie dello staff di Renzi, il paradosso è quello di fare questo studio insieme a quello di liberalizzare i licenziamenti.
 Dare la facoltà ai lavoratori, se vogliono,  di utilizzare in certi periodi il TFR come paga mensile può diventare una opportunità per far fronte a immediate ristrettezze,  e questa facoltà di utilizzo può essere intesa nell’ambito della libertà di utilizzo di un bene proprio. La perversità non sta nel lavoratore che può avere bisogno e desiderare un aumento della paga immediatamente percepita,  sta in chi la spaccia come un rimedio per far ripartire la domanda e superare la crisi.  E’ solo un raschiare il fondo del barile.
 La sottrazione di denaro ai consumi con conseguente caduta della domanda interna va ricercata nei fattori che l’hanno determinato; la tesaurizzazione di strumenti monetari non è il comportamento di chi ha un reddito  molto basso; la tesaurizzazione è il comportamento di chi percepisce redditi molto alti.  La stessa grande insicurezza che si è diffusa in tutte le famiglie per la disoccupazione dei figli ha determinato un ulteriore prudenza nei consumi per paura del futuro.  Quando si dice che è necessario eliminare pensioni che vanno oltre i 5.000 euro ed è necessario istituire una indennità di disoccupazione generalizzata, non è perché si vuole riproporre un egualitarismo demodé ma perché sono strumenti necessari per aggredire questa crisi.
02/10/14 francesco zaffuto

mercoledì 1 ottobre 2014

Inseguimenti sulla via dell’art. 18

 Le recenti vicende in casa PD presentano un Renzi vincente sull’art. 18, ma cosa ha vinto ancora non si sa bene;  ha focalizzato le attenzioni su di sé, si spostano simpatie e antipatie elettorali, ma i contenuti appaiono indecifrabili.
I Contratti Nazionali di Lavoro, già stabiliscono che i lavoratori possono essere licenziati per le seguenti mancanze : insubordinazione ai superiori; danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento; lavorazioni senza permesso eseguite in azienda; rissa nello stabilimento; abbandono del posto di lavoro; assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni; condanna ad una pena detentiva; recidiva per mancanze di più lieve entità; furto in azienda; fino al fumare in azienda dove è espressamente vietato.
La stessa legge Fornero del 2012 ha già modificato la portata sostanziale  dell’art.18 ampliando la possibilità di licenziare per motivi economici e organizzativi,  ha previsto momenti di conciliazione per diminuire il ricorso al giudice, ed ha  indicato precise procedure e possibilità per sostituire il reintegro con un indennizzo.
Voler ritoccare oggi l’art. 18 significa far divenire il licenziamento una specie di autonoma facoltà dell’imprenditore o del dirigente  limitando  al massimo l’intervento di un giudice terzo; come se il giudice venisse a dare sempre ragione all’operaio e torto all’imprenditore. Ci si può lamentare per una eventuale lentezza della giustizia  e trovare rimedi per rendere celeri udienze e sentenze;  ma non volere un giudice ha veramente un sapore ideologico, è un intendere l’azienda come un impero incontrastabile.
 Il legislatore al momento di varare lo Statuto dei lavoratori, nel suo porre il limite di 15 dipendenti per l’applicazione dell’art. 18,  era consapevole dei conflitti che potevano crearsi nelle piccole aziende dove lavoratori e imprenditori sono nelle condizioni di operare gomito a gomito, ed ha voluto chiamare a doveri più complessi  le aziende più grandi spesso dirette da manager in grado di affrontare con più competenza problematiche relative ai rapporti con il personale. Non si volevano creare lavoratori di serie A e di serie B, ma nei fatti si è venuta a creare una disparità di trattamento.  In qualche modo si è venuta a creare la tendenza a costruire micro aziende non superiori a 15 dipendenti a cui affidare lavori in appalto esternalizzando diverse funzioni delle aziende mediograndi (molte aziende di pulizie e di smaltimento rifiuti sono piccole e attuano condizioni di lavoro a dir poco selvagge).
 La soluzione prospettata è quella di barattare i contenuti dell’art. 18 con un  contratto a tutele crescenti.
«Sulla carta è interessante, ma bisognerà vedere bene i contenuti. Se la tutela crescente si risolve in un po’ più di indennizzo in cambio della libertà di licenziare, allora non è che sia un gran tutela. Il diritto al reintegro resterà solo sui licenziamenti discriminatori, ma è molto difficile per il lavoratore provare questa fattispecie» Il virgolettato è una dichiarazione della stessa Fornero, un tempo cattiva e che ora pare almeno sincera.
Voler pianificare i diritti adeguandoli al ribasso non è certo un buon metodo specie in una realtà come quella italiana dove la possibilità di trovare un nuovo lavoro è ridotta ai minimi termini, lo stazionamento in disoccupazione ha periodi molto elevati e manca una indennità di disoccupazione generalizzata.  
 Occorre avere una minima tutela economica per i disoccupati e investire per creare lavoro pubblico e privato;  accrescere  la possibilità di licenziare non ha l’effetto magico di aumentare i posti di lavoro, nessun imprenditore assume e produce se pensa di non poter vendere quello che produce.

01/10/14 francesco zaffuto