domenica 29 novembre 2015

Laurea: i numeri di Poletti


 Con un intervento sui tempi di laurea e uno sull’ora di lavoro il Ministro Poletti  ha messo in subbuglio tutta la stampa. Per questo blog è un po’ difficile entrare nel merito perché sono affermazioni buttate là giusto per provocare un polverone giornalistico. Ma purtroppo si tratta del Ministro del Lavoro, e il Lavoro in questo paese è la piaga aperta e la più lacerante. Dobbiamo necessariamente affrontare le frasi polettiane. 
Oggi parliamo della prima frase sui tempi per conseguire una laurea e il voto di laurea.
Frasi di polettiane riportate nei quotidiani: “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21
 “I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo“.
 Se ragioniamo un attimo sulla seconda frase, si parla di competere con altri giovani laureati. Il competere lo si può avere in Italia o all’estero. Sorge la domanda: “ci sono tanti laureati di altre parti del mondo che vengono a cercare lavoro in Italia?” Pare di no. Allora sorge un’altra domanda: “ci sono tanti figli di papà italiani che vanno a laurearsi all’estero?” Forse, tanti non saranno,  ma sicuramente un po’ di benestanti accorti cominciano a farlo. La frase resta sibillina e nella stragrande maggioranza dei casi si adatta a quei laureati italiani che  se ne vanno a cercare lavoro all’estero; e pare che il nostro Ministro venga a prospettare un competere all’estero dei nostri laureati, una specie di consiglio di emigrare da giovane.
Passiamo ora alla prima frase: intanto la frase non distingue tra laurea triennale e laurea magistrale. Dalla numerologia 97/21 si può ipotizzare che si voglia trattare di  laurea triennale; un giovane che si scrive all’università a 18 anni e va a completare a 21 con un bel 97.  Ignora il Poletti che in Italia per molti settori del pubblico impiego è previsto minimo 105 di voto di laurea.  Ed,  anche le aziende private,  perché non dovrebbero preferire un giovane di 24 o 26 anni laureato con 110 e lode? Ma soprattutto come si può pensare che un essere umano a 28 anni si possa considerare vecchio, e come si può pensare che al momento della pensione a 66 anni lo si consideri giovane.
 Allora evitiamo la numerologia magica  e cerchiamo di vedere di aggiustare qualcosa.
 I giovani che si avviano all’università hanno bisogno di orientamento nella scelta  e le prospettive di occupazione  debbono essere ben prospettate nei diversi settori.
 Le università hanno il dovere di ripensare i loro programmi e ordinamenti (confrontandoli con i corsi di laurea all’estero spesso più brevi e più leggeri), e snellendoli di materie che sono state inserite solo per aumentare cattedre universitarie.     
  Abbiamo bisogno anche di corsi brevi post laurea per avviare verso indirizzi particolari e dare la possibilità di riciclarsi in settori che permettono più occupazione, e non supermaster senza sbocchi.
  Abbiamo bisogno che chi costruisce corsi non lo faccia per sistemare alcuni formatori ma per costruire una formazione realmente spendibile.
  Abbiamo bisogno, in tutti i settori dove è possibile farlo, di lavorare meno e lavorare tutti.

  Accogliamo il consiglio squinternato del Ministro di “darci una mossa ed evitare di perdere tempo” (che poi è il succo delle sue frasi); ma nel contempo auspichiamo che il Ministro del Lavoro  “si dia una mossa a fare qualcosa per creare lavoro”.   (f. z.) 

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