Con un intervento sui tempi di laurea e uno sull’ora di lavoro il Ministro Poletti ha messo in subbuglio tutta la stampa. Per
questo blog è un po’ difficile entrare nel merito perché sono affermazioni buttate là giusto per
provocare un polverone giornalistico. Ma purtroppo si tratta del Ministro del Lavoro, e
il Lavoro in questo paese è la piaga aperta e la più lacerante. Dobbiamo
necessariamente affrontare le frasi polettiane.
Oggi parliamo della prima frase
sui tempi per conseguire una laurea e il voto di laurea.
Frasi di
polettiane riportate nei quotidiani: “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21“
“I nostri
giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si
trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di
loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo“.
Se ragioniamo un
attimo sulla seconda frase, si parla di competere con altri giovani laureati. Il
competere lo si può avere in Italia o all’estero. Sorge la domanda: “ci sono
tanti laureati di altre parti del mondo che vengono a cercare lavoro in Italia?”
Pare di no. Allora sorge un’altra domanda: “ci sono tanti figli di papà
italiani che vanno a laurearsi all’estero?” Forse, tanti non saranno, ma sicuramente un po’ di benestanti accorti
cominciano a farlo. La frase resta sibillina e nella stragrande maggioranza dei
casi si adatta a quei laureati italiani che se ne vanno a cercare lavoro all’estero; e
pare che il nostro Ministro venga a prospettare un competere all’estero dei
nostri laureati, una specie di consiglio di emigrare da giovane.
Passiamo ora alla prima frase: intanto la frase non distingue
tra laurea triennale e laurea magistrale. Dalla numerologia 97/21 si può
ipotizzare che si voglia trattare di laurea
triennale; un giovane che si scrive all’università a 18 anni e va a completare a
21 con un bel 97. Ignora il Poletti che in Italia per molti
settori del pubblico impiego è previsto minimo 105 di voto di laurea. Ed, anche le aziende private, perché non dovrebbero preferire un giovane di
24 o 26 anni laureato con 110 e lode? Ma soprattutto come si può pensare che un
essere umano a 28 anni si possa considerare vecchio, e come si può pensare che
al momento della pensione a 66 anni lo si consideri giovane.
Allora evitiamo la
numerologia magica e cerchiamo di vedere
di aggiustare qualcosa.
I giovani che si
avviano all’università hanno bisogno di orientamento nella scelta e le prospettive di occupazione debbono essere ben prospettate nei diversi
settori.
Le università hanno il
dovere di ripensare i loro programmi e ordinamenti (confrontandoli con i corsi
di laurea all’estero spesso più brevi e più leggeri), e snellendoli di materie
che sono state inserite solo per aumentare cattedre universitarie.
Abbiamo bisogno anche
di corsi brevi post laurea per avviare verso indirizzi particolari e dare la
possibilità di riciclarsi in settori che permettono più occupazione, e non
supermaster senza sbocchi.
Abbiamo bisogno che
chi costruisce corsi non lo faccia per sistemare alcuni formatori ma per
costruire una formazione realmente spendibile.
Abbiamo bisogno, in
tutti i settori dove è possibile farlo, di lavorare meno e lavorare tutti.
Accogliamo il
consiglio squinternato del Ministro di “darci una mossa ed evitare di perdere
tempo” (che poi è il succo delle sue frasi); ma nel contempo auspichiamo che il
Ministro del Lavoro “si dia una mossa a
fare qualcosa per creare lavoro”. (f. z.)
quanto mi ha mandato in bestia non hai idea, o forse si!!!
RispondiElimina