sabato 13 ottobre 2018

REDDITO DI CITTADINANZA - LETTERA A DI MAIO

Ecco la Lettera inviata da Francesco Zaffuto, sulla questione Reddito di cittadinanza, al Ministro del Lavoro Luigi Di Maio - via mail e tramite sito internet sezione contatti. Verrà successivamente inviata Lunedì 15/10/2018 via posta - raccomandata. 


Al Ministro del Lavoro Luigi Di Maio

Oggetto:  Un contributo sul Reddito di cittadinanza

Mi scuso per la lunghezza che purtroppo è necessaria, data l’importanza dell’argomento.
Nel maggio del 2013 intervenni sull’argomento (Reddito di cittadinanza) con una bozza sui centri per l’impiego e le liste di collocamento che fu inviata a 640 parlamentari, ovviamente il risultato dell’interlocuzione fu poco significativo.
 Inviai la bozza anche  al ministro Giovannini;  e dopo la nascita del governo Renzi, al ministro Poletti.
 Ebbene oggi, faticosamente arrivato al 2018 e 70 anni di età, e avendo votato per i 5stelle per la centralità nel programma del Reddito di cittadinanza, mi sembra doveroso inviarLe questa nota.
Mi scuserà se fra qualche giorno la riceverà anche per  Raccomandata,  non è per mancanza di fiducia sul ricevimento di questa mail,  ma per  seguire la stessa procedura di cortesia che ho usato con i Ministri precedenti.
Vengo al dunque.
Ci sono tre possibilità di affrontare in dottrina, in Italia,  il Reddito di cittadinanza:
quella che avevo cercato di esporre in quella bozza che si basava su un effettivo funzionamento dei Centri per l’impiego capaci di gestire  Liste di Collocamento con aspetti di obbligatorietà in toto o in parte;
quella di Reddito di base incondizionato che fu portato in referendum in Svizzera nel 2016;
e quella della proposta dei 5stelle del 2013,  che cerca di contemplare un reddito di cittadinanza generalizzato con l’esistenza di Centri per l’impiego efficienti.
 Scartata la seconda ipotesi di Reddito di base incondizionato, non perché sia sbagliata, ma perché ci vuole un coraggio da leoni per affrontarla, e non l’hanno avuto gli stessi svizzeri che in quanto a welfare e denaro a disposizione stanno molto meglio di noi; rimangono le altre due . E poiché la prima, che è la mia,  non fa dottrina mi concentro su quella dei 5stelle.

 Prima questione:  i Centri per l’impiego, possono essere resi più efficienti e collegati con sistemi informatici, un posto di lavoro in provincia di Biella di aiuto cuoco potrà essere sottoposto ad un aspirante aiuto cuoco di Canicattì.  Diventa però essenziale capire quale obbligo può derivare alle aziende per effettuare  l’offerta di lavoro al Centro pubblico per l’impiego e quale obbligo può derivare alle aziende di assumere tramite l’ordine di una Lista di collocamento del Centro Pubblico.
 Attualmente il datore di lavoro, che deve assumere,  prova in prima istanza tra le sue conoscenze parentali ed amicali, poi comincia a rivolgersi ad una Agenzia Privata di collocamento, e solo alla fine ricorre ad un Centro pubblico per l’impiego. Aggiungiamo, inoltre,  che non ha alcun obbligo di assumere la persona che viene segnalata dal Centro per l’impiego perché la facoltà di assunzione è riservata all’azienda stessa, visto che  le leggi di assunzione obbligata del dopoguerra sono state tutte abrogate.
 Non dando alcun obbligo alle aziende di ricorrere ai Centri per l’impiego per l’offerta di lavoro e non dando nessuna percentuale obbligatoria di rispetto delle Liste di collocamento, si può ipotizzare che il disoccupato iscritto al Centro non venga a ricevere offerte di lavoro o pochissime e con estreme difficoltà di assunzione. Certo, per continuare a percepire l’assegno del Reddito di cittadinanza dovrà dimostrare che sta cercando lavoro anche in proprio, e starà soggetto a controlli, ad obblighi di formazione, a disponibilità presso i Comuni per servizi; ma rischia di stare in quella deprimente situazione per anni, con gravi effetti psicologici, e si sentirà anche accusato di essere un mangiapane a tradimento.
 Il Vostro progetto di Reddito di cittadinanza, mi pare che, non preveda  l’obbligo di assunzione  per le aziende tramite le Liste dei Centri di collocamento; forse perché una tale misura  contrasta con l’attuale visione delle aziende che non vogliono rinunciare alla potestà di decidere. Quindi i nuovi Centri per l’impiego,  anche se meglio efficienti, resteranno monchi per autorevolezza.  Fare un confronto con Centri per l’impiego tedeschi, può essere utile, ma non basta,  perché occorre fare i conti la nostra mentalità  che prevede la raccomandazione amicale e  il “mi dice la testa”.
 Quindi una qualche norma sarebbe necessaria per  dare una funzione autorevole alle  Liste di collocamento dei nuovi Centri per l’impiego: magari in percentuale, oppure riservandola alle grandi aziende, oppure riservandola a lavori che non necessitano di una eccessiva specializzazione. Si può anche percorrere la strada di dare un qualche beneficio alle aziende che intenderanno optare per le assunzioni fatte attraverso l’ordine di priorità dato dai  Centri pubblici per l’impiego. Qualcosa in questa direzione va fatto, in modo che Liste di collocamento vengano ad avere una priorità di collocamento per le persone che hanno carichi di famiglia e per le persone che stanno in condizione di disoccupazione da più tempo.
  Una seconda questione: è quella di creare una necessaria duttilità nelle Liste di collocamento dei Centri per l’impiego,  che tenga conto dei titoli di studio e della formazione già conseguiti  dal lavoratore.  Il lavoratore dovrebbe essere posto nella condizione di  iscriversi su almeno due tipologie di Liste di collocamento: una tipologia,  che si può chiamare A, che corrisponde a mansioni  congruenti con i titoli di studio più elevati già conseguiti; ed una tipologia B che corrisponda a mansioni più ordinarie (o meno elevate),  ma più agevoli per trovare lavoro.  Se il lavoratore troverà lavoro tramite i Centri per l’impiego  nella tipologia B, e prende lavoro, non dovrà essere cancellato dalle Liste d’attesa di collocamento per la tipologia A; e qualora si dovesse presentare una successiva possibilità di lavoro nella tipologia A, avrà il diritto di cambiare lavoro per optare per la tipologia più elevata.
  Una terza questione:  è quella di non scoraggiare coloro che vogliono mettersi a lavorare in proprio. L’esistenza di cittadini giovani e meno giovani che vogliono provare a costruire un lavoro in proprio è fonte di grande ricchezza per il paese ed è fonte possibile di nascita di nuovo lavoro e nuovo reddito. Se diventa prevalente il beneficio di starsene ad aspettare un lavoro subordinato,   diventa anche difficile che qualcuno scelga di rinunciare a un  Reddito di cittadinanza sicuro  per sopportare tutto il rischio di costruire un lavoro in proprio. La misura del Reddito di cittadinanza dovrebbe decollare insieme ad una serie di misure che spingono a costruire un lavoro in proprio. E possono essere le più varie. Anche i centri per l’impiego dovrebbero avere una sezione di consulenza per spingere il lavoratore verso la costruzione di un lavoro in proprio. Il Reddito di cittadinanza in tal caso sarebbe funzionale   ad  assistere l’impresa del cittadino in fase di decollo, e si dovrà chiedere al cittadino la massima trasparenza in materia di fatturazione.  Ciò potrà servire per normalizzare tanto  lavoro in nero, e combattere quella parte di evasione fiscale marginale e diffusa.
 Una quarta  questione:  è l’ammontare del reddito di cittadinanza e la sua distanza con salari da lavoro molto bassi. Il reddito di cittadinanza nella misura di 780 euro è equo, ed in ogni caso va fatto decollare anche per un ammontare non eccessivamente lontano da questa cifra. Va, altresì, accompagnato  con una misura normativa che venga a determinare la Paga oraria minima per Legge;  allo scopo di evitare livelli salariali troppo bassi e al limite dello schiavismo.  La collaborazione su questa questione  con i Sindacati è fuori di dubbio necessaria; credo condivideranno che il sostegno  ai lavoratori per la disoccupazione involontaria (oggi chiamato Reddito di cittadinanza)  e il diritto alla paga minima stanno nella tradizione di tutto il movimento di lavoratori . Si possono trovare con i sindacati stessi tutte le condizioni normative per  non vanificare i contratti collettivi che prevedono paghe orarie superiori; ma la paga minima per legge è sacrosanta per evitare lo schiavismo in questo paese.
 Una quinta questione;  è quella  sull’utilizzo che potranno fare i Comuni e gli Enti locali,  di cittadini posti in reddito di cittadinanza. Può andare ben oltre le otto ore settimanali;  si possono fare convenzioni con gli enti territoriali per progetti di lavoro anche produttivi di lungo periodo. I Comuni ne avrebbero un notevole beneficio per l’utilizzo di mano d’opera a costi contenuti. Ma attenzione!  Chi è posto in reddito di cittadinanza, se viene impiegato per un numero superiore alle otto ore settimanali deve ricevere qualche euro in più.
 Una sesta questione: evitare che la formazione, durante il periodo di fruizione del Reddito di cittadinanza,  diventi spreco di risorse.  Abbiamo in Italia esperienze negative di corsi costosi e inutili, che non hanno portato ad assunzioni (la gestione di alcuni corsi di formazione regionali è stata accompagnata da sprechi e truffe).  Occorre  puntare soprattutto sulla formazione diretta fatta dalle aziende nel periodo che precede un’assunzione e in vista di una vera e propria di assunzione. Riguardo a corsi generici di formazione vanno fatti decollare con la massima attenzione per la spesa e per le previsione di possibili assunzioni.  Occorre pure vedere quanta parte di formazione è già affrontata  o  affrontabile con la Scuola pubblica, specie quella professionale,  che già assorbe una  parte della Spesa pubblica.
A queste sei questioni vanno aggiunti due punti  necessari per fare chiarezza sul piano applicativo.  
Primo punto: la riserva del reddito di cittadinanza ai cittadini italiani va meglio  chiarita. Chi non è cittadino italiano e non ha trovato lavoro in Italia può far parte di altri Istituti assistenziali che fanno riferimento all’Accoglienza. Chi, pur non essendo cittadino italiano, ha trovato lavoro in Italia ed ha partecipato con il suo lavoro a contributi previdenziali ed al pagamento  d’imposte, va tutelato in quanto lavoratore in Italia e va assimilato, se perde il lavoro, a tutti gli altri lavoratori italiani.  Quindi la normativa del Reddito di cittadinanza lo deve in qualche modo contemplare.
 Secondo punto, i lavoratori che attualmente sono tutelati dalla cosiddetta indennità di disoccupazione debbono mantenere le attuali garanzie di tutela e vanno solo successivamente rinviati nel regime di reddito di cittadinanza. Vanno però  corretti alcuni aspetti applicativi dell’indennità di disoccupazione che si prestano in alcuni casi a raggiri (esempio alcuni casi di uso dell’indennità nel settore del bracciantato agricolo – il collocamento nel  lavoro dei braccianti  va eseguito da Centri comunali per l’impiego, e reso trasparente, per eliminare lo schiavismo del Caporalato).   Riguardo a questo secondo punto è necessario il rapporto con il Sindacato per trovare un accordo.
  Il Sindacato va posto nella condizione di piena collaborazione per l’impianto del Reddito di cittadinanza. Il Reddito di cittadinanza può  essere un istituto che trova il finanziamento prevalente dai lavoratori e dai datori di lavoro, oltre che dallo Stato in generale. In fin dei conti il Reddito di cittadinanza è una forma di civilizzazione del mercato del lavoro.
 Infine la penalizzazione di chi abusa del Reddito di cittadinanza senza averne diritto deve avere misure agili di penalizzazione, piccole, immediatamente applicative e con un risvolto economico. Minacciare grandi pene e galera non fa bene all’Istituto del Reddito di cittadinanza che si vuol fare decollare, apre la stura a lunghi processi, alla vittoria dei furbi o alla punizione eccessiva di qualche disgraziato.
 E proprio infine,  faccio i  miei migliori auguri a Lei Signor  Ministro Luigi Di Maio, e che possa riuscire in questa impresa di civiltà e solidarietà.

Monza 13/10/2018   Francesco Zaffuto

3 commenti:

  1. Ammiro la tua costanza e la precisione con cui argomenti la tua richiesta di attenzione che pienamente meriti ma... in un paese come attualmente è il nostro il buonsenso, le buone regole e la giustizia sociale non paiono in grande voga.
    Sai cosa mi piacerebbe facesse il governo? Imponesse un "lavoro di cittadinanza". Il termine non l'ho coniato io ma mi è parso eccezionale.
    Ciao.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Sari. ti rispondo solo oggi, perché solo oggi ho visto questo commento. La tua idea sta nel solco del socialismo come anche l'aiuto ai disoccupati sta nel solco del socialismo. Il primo tentativo di dare lavoro a tutti lo fece Blanc in Francia, dopo la rivoluzione del 1848, li chiamò Ateliers nationaux - opifici nazionali. In qualche modo l'uso presso i Comuni per almeno otto ore settimanali, ideata da Di Maio, sta nel solco di questa antica idea. Il problema è che nessuno vuole più usare la parola socialismo. Non lo fa più il PD e figurasi il Di Maio. Il non guardare agli insegnamenti della Storia non è un buon segno. Ciao

      Elimina
  2. Socialismo. Prendi una parola, sviliscila con le parole e coi fatti e l'idea svanisce assumendo il valore di quel che ha prodotto nella società.
    Ogni forma di governo sarà sempre imperfetta ma quel che conta è il tendere al bene comune, impegno smarrito dalle odierne forme che tendono sempre più a farci diventare clienti e non cittadini.
    Ciao.

    RispondiElimina

Tutti i commenti e i contributi sono benvenuti, la redazione si riserva, in via di autotutela, di eliminare commenti che incitano alla violenza o con carattere offensivo verso terzi.