La tragedia
accaduta alla fine dell’anno in una famiglia del Piemonte (nel comune di
Collegno) ha avuto aspetti raccapriccianti; un uomo di 57 anni ha sterminato
tutta la sua famiglia e poi si è suicidato. Per la cronaca si rinvia a questo
link de La Stampa
Lo stesso
cronista, nel commentare il fatto, ha trovato una qualche relazione tra l’episodio
di follia e la nuova condizione di disoccupazione in cui si era venuto a
trovare da tre mesi l’uomo di 57 anni. In un caso limite come questo non è facile
porre delle relazioni; ma se si fa memoria di altri casi limite e se si
aggiungono i tanti casi di suicidio connessi alla perdita del lavoro, possiamo
dire che i casi limite sono la punta di un grande malessere.
La
disoccupazione spesso è vissuta come annientamento e come impossibilità a
potersi ricostruire una immagine della propria esistenza per sopportare l’esistenza
stessa.
Se il lavoro
è l’unica fonte di reddito per la sopravvivenza, se con il lavoro ci si
identifica in tutto, se quando il lavoro cessa viene a cessare anche l’uomo: il
lavoro è una mostruosità e la disoccupazione è un aspetto della mostruosità
stessa del lavoro.
In questa società dominata da una tecnologia
avanzata che tende ad espellere la forza lavoro non è facile difendersi. Non basta il sogno di
una ripresa della crescita per riprodurre le stesse condizioni precedenti alla
crisi economica. Non basta un obolo di carità dato a chi non lavora per tenerlo
in stato di espulsione.
Occorre che si costruiscano strumenti
inclusivi sul piano economico e una cultura che ponga al centro la persona
umana.
Lo strumento inclusivo più importante è quello
del “lavorare meno lavorare tutti”; quello che può sembrare un vecchio slogan
utopistico è il progetto umano per la società del futuro.
Sul
piano culturale quelle domande costanti che incontriamo nella nostra vita
quotidiana: “che lavoro fai?” e “quanto denaro hai?” dovranno essere sostituite
da un sostanziale “chi sei?” e “come stai?”.
2 gennaio
2014 francesco zaffuto
immagine - coercizione - fotocomposizione di Liborio Mastrosimone - http://libomast1949.blogspot.com/
Avere o essere... Fromm aveva puntato il dito sulla questione molti anni fa ma quel che ha scritto non ci è servito e tutta la società è stata strutturata in modo che chi sceglieva di "essere" veniva penalizzato e ridicolizzato.
RispondiEliminaAnche chi diceva che non era necessario lavorare tanto ma che lo era che lo facessero tutti veniva sbeffeggiato. Oggi vediamo che avevano ragione tutti coloro che mettevano in guardia da questi ritmi folli e dal consumismo sfrenato. Oggi, che è difficile tornare indietro, sappiamo che pagheremo cara la lotta per avere il diritto di fare scelte più giuste.
Dei sindacati non parlo, avrei troppo, di male, da dire.
Grazie Francesco, i tuoi argomenti mi consolano.