venerdì 30 dicembre 2016

Legittimo perbacco, licenziare per aumentare i profitti

Siamo di fronte ad una cosiddetta evoluzione del pensiero giuridico in materia di lavoro.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25201  depositata il 7 dicembre 2016 (segnalata dal quotidiano ItaliaOggi), scrive una nuova pagina nel campo del diritto del lavoro e destinata a fare giurisprudenza.  La Cassazione è intervenuta sul caso di un dipendente messo alla porta dall'azienda dove lavorava, dopo due sentenze tra di loro in contrasto. Il giudice di primo grado aveva stabilito che il licenziamento era legittimo in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la catena di comando e quindi la gestione aziendale". Giudizio ribaltato in appello , dove il giudice aveva ritenuto illegittimo il provvedimento in quanto non era stato motivato dalla necessità economica e dalla presenza di eventi sfavorevoli, ma essendo stato "motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero incremento del profitto".
Appellandosi anche all'articolo 41 della Costituzione che prevede la libera iniziativa economica dei privati, citando le direttive comunitarie sul tema, ma anche riferendosi a decisioni del passato, la Cassazione ha ritenuto che non sia necessario essere in presenza necessariamente di una crisi aziendale, una calo di fatturato o bilanci in rosso per procedere a un licenziamento. Il provvedimento può essere così giustificato anche per migliorare l'efficienza di impresa o per la soppressione di una posizione o anche per adeguarsi alle nuove tecnologie. In poche parole, se l'attività dei privata è libera, deve esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio. 
Potrebbe bastare ad un’azienda che vuole licenziare attaccare copia di questa sentenza sul portone, aggiungendo pure una frase del tipo: con questa sentenza abbiamo licenziato un manager figuratevi voi che non avete neanche i soldi per pagarvi un avvocato.

Nella Costituzione è vero che esiste l’articolo 41 ma dice qualcosa in più rispetto a una generica possibilità di licenziare.
Art. 41. L’iniziativa economica privata e` libera.
Non puo` svolgersi in contrasto con l’utilita` sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta`, alla dignita` umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perche´ l’attivita` economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Nella Costituzione è vero altresì che esiste un articolo 38 che è ancora disatteso dallo Stato nella parte che riguarda la disoccupazione involontaria
Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita` e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.  L’assistenza privata e` libera.

 Se vogliamo andare verso una collettività dove le aziende sono completamente libere di licenziare (questo pare dire l’evoluzione del pensiero di questa società capitalista) occorre accettarne tutte le conseguenze ed arrivare ad una forma assicurativa obbligatoria pubblica della cosiddetta disoccupazione involontaria; per tutti, dal lavoratore licenziato al lavoratore che non ha ancora trovato un primo lavoro. Lo volete chiamare reddito di cittadinanza o in altro modo!? Chiamatelo come volete e fate contribuire tutti a questa assicurazione obbligatoria per la dignità, anche gli stipendi dei giudici della Corte di Cassazione.

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