giovedì 22 dicembre 2016

Lavoro dal biologico

Una domanda di cibo biologico in continua crescita e un’offerta che stenta a decollare, costringendo le industrie alimentari ad approvvigionarsi all’estero. I cereali biologici in Italia sono sempre più richiesti, ma la conversione delle superfici coltivate procede a rilento, nonostante la redditività per ettaro sia nettamente superiore a quella del convenzionale.
Sia perché le aziende trasformatrici hanno esigenza di creare filiere biologiche al 100% e sono quindi disposte a riconoscere prezzi molto alti per granelle e farine coltivate senza l’impiego della chimica di sintesi, sia perché la politica agricola europea sostiene con interessanti incentivi le imprese agricole che decidono di convertirsi (Il Programma di Sviluppo Rurale (Psr) del Veneto ha stanziato 559 euro l’ettaro per la conversione dei seminativi).
«In Italia c’è un problema culturale da superare – afferma Massimo Roncon, titolare di 
Agricola Grains – la stragrande maggioranza degli agricoltori è legata alle pratiche tradizionali, anche se negli ultimi anni la crescita esponenziale della domanda e gli incentivi dei Psr stanno pian piano convincendo molto imprenditori a sposare un nuovo modo di fare agricoltura, più redditizio e anche più sostenibile».
Tra le colture estensive bio più richieste ci sono il grano tenero (utilizzato per confezionare prodotti da forno e amido), il grano duro (per la pasta), il girasole (per produrre olio di semi) e la soia. Un terzo dei cereali bio italiani o dei derivati finisce all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e nel Nord Europa, con il risultato che le industrie alimentari italiane sono costrette a importare materia prima dall’estero (in particolare dall’Est Europa) per soddisfare le richieste di prodotti bio del mercato.
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