“Fatti più in là” pare essere la
regola generale di questo pianeta per tutte le cose spiacevoli e anche per gli
uomini che sono diventati essi stessi delle cose spiacevoli.
Non voglio l’inceneritore nel mia città, sia
fatto più in là. Non voglio che il mio corso d’acqua sia inquinato, sia fatto
più in là. Non voglio che con i tuoi stracci vieni a costruire un tuo campo
nomadi alla periferia del mio paese, sia fatto più in là. Sei uno oppositore al mio regime, ti
distruggo oppure fatti più in là.
Accanto a questa prassi generale che pare regolare il
mondo c’è ne sta un’altra da parecchio tempo: è quella del “vado più in là”.
Non riesco a vendere le merci che ho prodotto nel mio paese, per venderle “vado
più in là”. Mi costa tanto la manodopera
nel mio paese, per costruire i miei prodotti “vado più in là”. Non ho le
materie prime che mi servono per costruire milioni di telefonini cellulari, per
prenderle “vado più in là”. Non ho risorse energetiche sufficienti a mantenere
il mio standard produttivo, per prenderle “vado più in là”.
Accanto a un procedere di spogliazione
determinato dal “vado più in là” si è determinata anche la chiusura a riccio
del “fatti più in là”, e come conseguenza si spostano milioni di tonnellate di
merce e milioni di uomini alla ricerca disperata di una collocazione. Si semina
inquinamento ovunque e si semina malessere ovunque.
Si scopre che quel pianeta un tempo pieno di
terre promesse è diventato piccolo. Si
potrebbero vedere gli aspetti benefici di una possibile costruzione di una
società multietnica e di un mondo unito; ma fino ad ora ci sono tutti gli
effetti di un mondo di merda.
All’interno di questo mondo così fatto poi ci
sono dei particolari paesi che rischiano di essere sepolti nel liquame, perché
le proprie istituzioni sono diventate incapaci di dare una qualche risposta.
Uno di questi paesi è l’Italia, sono alcuni anni che si dice che il problema
centrale è il lavoro ed ancora non arrivano risposte.
C’è qualcuno che, dall’alto della mancanza di problemi dice:
“gli italiani non vogliono fare più certi mestieri e per questo è buona cosa
che arrivino disperati da altri paesi”.
Ma ciò è vero solo in piccola parte: scopriamo che se sei un italiano
che vuoi fare un lavoro umile non lo trovi, perché l’altro italiano che ti vuole dare il
lavoro umile te lo vuole dare in nero e preferisce darlo a uno straniero che
può accettare silenziosamente condizioni pesanti. Accade così che l’italiano
che voleva fare il lavoro umile lo va a fare più il là da straniero in Germania o in Inghilterra.
Scopriamo che emigrano non solo gli italiani con laurea che trovano dei buoni
lavori all’estero, ma anche gli italiani con laurea che non riescono a trovare
in Italia neanche un lavoro umile.
Il Governo Letta dice di avere avviato una
manovra benefica per diminuire le imposte sul lavoro e complessivamente il
cuneo fiscale. La diminuzione dell’imposte sul lavoro è sicuramente uno degli
aspetti più rilevanti per il lavoro nel nostro paese. Ma volendo mantenere le
entrate fiscali inalterate, non sfondando i limiti del debito imposti dalla
comunità europea, non riducendo la spesa per l’impianto burocratico dello
Stato; l’operazione si traduce in un trasferimento di collocazione delle
imposte, da alcuni soggetti ad altri soggetti. Di conseguenza, in questo
momento, Letta deve badare al coro di tante voci che cantano un “fatti più in
là” per fare in modo che il peso fiscale ricada su altri.
Non intendo aggiungermi a questo
coro, ma è certo che: con 14 euro in più nella paga non ci più essere una grande
ripresa dei consumi e se l’IRAP non viene sterilizzata dai costi del lavoro
continueranno ad esserci imprese in difficoltà.
Il peso fiscale, se non si vuole fare ricadere
sul lavoro, deve necessariamente cadere
sui redditi più elevati, sui patrimoni che non vengono investiti in impresa,
sui consumi di beni voluttuari. Lo Stato deve dimagrire la sua spesa
burocratica. Debbono essere trovate misure per fare emergere l’economia in
nero, far pagare le imposte a chi evade, senza strozzare l’economia marginale.
L’Europa deve dare il necessario tempo per i rientro dal debito. Non è facile e
per qualsiasi governo può essere necessario un tempo di lavoro. Intanto c’è un
problema di urgenza: la condizione di disoccupazione per periodi lunghi è una
tragedia. Non ce la si può cavare con un aspettiamo che riprenda l’economia,
diventa urgente un riordino del welfare e della normativa sul collocamento. Allego
qui la proposta sul Collocamento al lavoro già inviata l’8 maggio 2013 a tutte
le componenti politiche; c’era stato un qualche riscontro iniziale, poi un
successivo totale silenzio.
Occorrono riforme ma non ci si può ispirare al
“fatti più in là”.
19/10/2013
francesco zaffuto
Immagine – una manifestazione per il lavoro
Ah, oltre i danni le beffe (14 euro!!!) ma qualcosa dovrà cambiare perchè siamo tutti stanchi e la distanza fra i personaggi politici e le persone sono troppo grandi. Leggevo di Ripa di Meana che si lamentava dei dodicimila euro (dichiarati) al mese... Al mese!, quando c'è chi non li percepisce in un anno.
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