sabato 2 maggio 2015

Di nuovo al 13 %, primo maggio addio

Di nuovo al 13 % il tasso di disoccupazione, nonostante le misure del Jobs Act il mercato del lavoro non riprende, ed aumenta la disoccupazione dello 0,2 rispetto al mese precedente. Sono i dati di Marzo dell’Istat, che abbiamo conosciuto proprio il 1° Maggio.  Dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio, quindi, si riconferma l’inversione il trend negativo iniziato in febbraio. In termini numerici un incremento di 52mila disoccupati.
Purtroppo. Si era intravista una piccola variazione positiva in gennaio e in febbraio, e si era subito manifestato ottimismo
ma purtroppo.
Qui non si tratta di essere ottimisti o gufi, si tratta di trovare qualche rimedio per fare ripartire l’economia, perché l’inceppamento sta producendo disastri.
Il lavoro non riparte per tanti motivi:
bassi investimenti pubblici per la stretta sul debito;
mancanza di nuovi prodotti;
forte concorrenza di manufatti prodotti all’estero a costi inferiori;
lavoro mal ripartito con eccessi di straordinari;
la stessa disoccupazione crea altra disoccupazione perché deprime i consumi delle famiglie (i giovani non possono spendere e i vecchi con maggiorenni a carico tendono a risparmiare al massimo);
ricchezza mal distribuita (i ricchi, a differenza dei ceti meno abbienti e dei ceti medi, tendono a tesaurizzare e non riportano nei consumi tutti i loro redditi);
tendenza a ritirarsi dell’imprenditore italiano (c’è una sommatoria: quelli che non ce la fanno e chiudono, quelli che vedono buio e chiudono prima del fallimento; quelli che non riescono a trasferire ai figli l’attività perché i figli non vogliono fare i lavori dei padri; quelli che  chiudono perché hanno deciso di vivere di rendita);
assenza di imprenditoria pubblica (le imprese pubbliche vengono smantellate e quelle private non nascono);
lavoro nero (che non crea condizioni di sicurezza nel farsi una posizione);
malavita, corruzione e pizzo (che in tante parti d’Italia scoraggia l’inizio di una attività imprenditoriale);
mal funzionamento della giustizia civile (che crea scoraggiamento negli imprenditori);
forte pressione fiscale sul lavoro;
All’elenco sicuramente manca ancora qualcosa.
 Il Governo, parlo di quest’ultimo, qualcosa l’ha fatto:
ha tentato di far riprendere i consumi con l’operazione 80 euro;
ha dato dei vantaggi alle imprese che assumono a tempo indeterminato;
ha diminuito le tutele ai lavoratori nuovi assunti per stimolare le imprese ad assumere a tempo indeterminato;
è intervenuto più volte in casi specifici di chiusure di grosse aziende;
ha diminuito l’IRAP sterilizzandola dai costi del lavoro.
 Fatti salvi gli interventi specifici per salvare alcune aziende e la sterilizzazione dell’IRAP, gli altri  interventi si sono rivelati poco significativi: gli 80 euro non sono immediatamente ricaduti in consumi, e sono ricaduti in buona parte nella debole tesaurizzazione delle famiglie spaventate; i vantaggi alle aziende che assumono a tempo indeterminato, fino ad ora,  hanno  prodotto un aumento di contratti a tempo indeterminato di lavoratori che prima venivano assunti a tempo determinato e senza aggiungere nuova occupazione.
L’ampio investimento usato per gli 80 euro se veniva utilizzato per creare una indennità di disoccupazione allargata avrebbe prodotto una maggiore sicurezza e il denaro destinato si sarebbe trasferito tutto sui consumi. Gli incentivi contributivi per le assunzioni andavano date a quelle aziende che effettivamente assumevano lavoratori in più rispetto all’anno precedente.
Allora due investimenti inappropriati con le poche energie a disposizione.
 Un altro elemento che va urgentemente aggiunto:  lo Stato e gli enti pubblici debbono essere promotori per iniziative pubbliche di impresa, se non decolla l’impresa privata deve esserci un cuscinetto di impresa sociale. L’impresa pubblica però non deve diventare una spugna che assorbe energie monetarie pubbliche in continuazione, dopo l’investimento iniziale ogni impresa pubblica deve essere gestita con criteri di pareggio di bilancio.
02/05/2015 francesco zaffuto

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