mercoledì 1 ottobre 2014

Inseguimenti sulla via dell’art. 18

 Le recenti vicende in casa PD presentano un Renzi vincente sull’art. 18, ma cosa ha vinto ancora non si sa bene;  ha focalizzato le attenzioni su di sé, si spostano simpatie e antipatie elettorali, ma i contenuti appaiono indecifrabili.
I Contratti Nazionali di Lavoro, già stabiliscono che i lavoratori possono essere licenziati per le seguenti mancanze : insubordinazione ai superiori; danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento; lavorazioni senza permesso eseguite in azienda; rissa nello stabilimento; abbandono del posto di lavoro; assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni; condanna ad una pena detentiva; recidiva per mancanze di più lieve entità; furto in azienda; fino al fumare in azienda dove è espressamente vietato.
La stessa legge Fornero del 2012 ha già modificato la portata sostanziale  dell’art.18 ampliando la possibilità di licenziare per motivi economici e organizzativi,  ha previsto momenti di conciliazione per diminuire il ricorso al giudice, ed ha  indicato precise procedure e possibilità per sostituire il reintegro con un indennizzo.
Voler ritoccare oggi l’art. 18 significa far divenire il licenziamento una specie di autonoma facoltà dell’imprenditore o del dirigente  limitando  al massimo l’intervento di un giudice terzo; come se il giudice venisse a dare sempre ragione all’operaio e torto all’imprenditore. Ci si può lamentare per una eventuale lentezza della giustizia  e trovare rimedi per rendere celeri udienze e sentenze;  ma non volere un giudice ha veramente un sapore ideologico, è un intendere l’azienda come un impero incontrastabile.
 Il legislatore al momento di varare lo Statuto dei lavoratori, nel suo porre il limite di 15 dipendenti per l’applicazione dell’art. 18,  era consapevole dei conflitti che potevano crearsi nelle piccole aziende dove lavoratori e imprenditori sono nelle condizioni di operare gomito a gomito, ed ha voluto chiamare a doveri più complessi  le aziende più grandi spesso dirette da manager in grado di affrontare con più competenza problematiche relative ai rapporti con il personale. Non si volevano creare lavoratori di serie A e di serie B, ma nei fatti si è venuta a creare una disparità di trattamento.  In qualche modo si è venuta a creare la tendenza a costruire micro aziende non superiori a 15 dipendenti a cui affidare lavori in appalto esternalizzando diverse funzioni delle aziende mediograndi (molte aziende di pulizie e di smaltimento rifiuti sono piccole e attuano condizioni di lavoro a dir poco selvagge).
 La soluzione prospettata è quella di barattare i contenuti dell’art. 18 con un  contratto a tutele crescenti.
«Sulla carta è interessante, ma bisognerà vedere bene i contenuti. Se la tutela crescente si risolve in un po’ più di indennizzo in cambio della libertà di licenziare, allora non è che sia un gran tutela. Il diritto al reintegro resterà solo sui licenziamenti discriminatori, ma è molto difficile per il lavoratore provare questa fattispecie» Il virgolettato è una dichiarazione della stessa Fornero, un tempo cattiva e che ora pare almeno sincera.
Voler pianificare i diritti adeguandoli al ribasso non è certo un buon metodo specie in una realtà come quella italiana dove la possibilità di trovare un nuovo lavoro è ridotta ai minimi termini, lo stazionamento in disoccupazione ha periodi molto elevati e manca una indennità di disoccupazione generalizzata.  
 Occorre avere una minima tutela economica per i disoccupati e investire per creare lavoro pubblico e privato;  accrescere  la possibilità di licenziare non ha l’effetto magico di aumentare i posti di lavoro, nessun imprenditore assume e produce se pensa di non poter vendere quello che produce.

01/10/14 francesco zaffuto

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