
sabato 27 giugno 2020
giovedì 25 giugno 2020
Un anno di Reddito di Cittadinanza - Corte dei Conti e Giornali
Se su un giornale come Qui Finanza si
legge
e su Il Giornale di Sallusti si legge
Lo
dice pure la Corte dei Conti: il reddito di cittadinanza è un flop
Ti
può venire il dubbio che la Corte dei Conti sia andata oltre i suoi compiti di
vigilanza – se hai tempo e pazienza puoi andare sul
e
cercare i documenti originali.
Scopri
che alla Pagina 13/14 dalla Requisitoria
orale del Procuratore generale Fausta Di Grazia
Sul
fronte assistenziale, l’attuazione del “reddito di cittadinanza” è rientrato
tra le finalità della missione 24, con uno stanziamento definitivo di 5.728,6
milioni di euro, dei quali ne sono stati impegnati 3.878,7 milioni. Dai dati
degli uffici di controllo risultano essere state accolte circa 1 milione di
domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali, secondo
elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2% ha poi dato luogo ad un
rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego. Il calo degli
investimenti pubblici non ha aiutato certamente la ripresa dell’economia nazionale,
in evidente sofferenza per la pressione
fiscale e l’alto costo del lavoro, nonché per i noti fenomeni corruttivi. Appare
non più rinviabile un intervento in materia fiscale che riduca, per quanto
possibile, le aliquote sui redditi dei dipendenti ed anche dei pensionati che,
pur essendo fuori dal circuito produttivo, frequentemente sostengono le
generazioni più giovani, oltreché le imposizioni gravanti sulle imprese alle
quali sono affidate le concrete speranze di un rilancio del Paese.
pagina 65/66 del Documento di Sintesi Relazione
sul Rendiconto Generale dello Stato
Per
quel che riguarda le politiche assistenziali, nel primo anno di vigenza
dell’RdC sono state accolte poco più di 1 milione di domande, con complessivi
2,4 milioni di beneficiari coinvolti. L’importo medio mensile del beneficio è
risultato pari a 513 euro. Rispetto al precedente programma (Reddito di
inclusione), si è registrato un sensibile incremento sia delle persone
assistite (erano pari a 1,3 milioni), sia del sussidio erogato (296 euro per
nucleo, nel 2018). Secondo
elaborazioni proposte dalla Corte nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza
pubblica, effetti sensibili si sono avuti in termini di riduzione degli indici
di povertà e minore concentrazione della distribuzione del reddito (indice di
Gini). Di contro, appaiono modesti i risultati in termini occupazionali.
Elaborazioni della Corte sui dati micro dell’indagine trimestrale sulle forze
di lavoro condotta dall’Istat mostrano che la quota di coloro i quali trovano
lavoro tramite i CPI resta modestissima: intorno al 2 per cento.
Ora,
dopo aver riportato la Fonte, aggiungo
una mia brevissima considerazione.
Dall’esame
di questi due documenti risulta che la Corte dei Conti dice che la misura del
Reddito di cittadinanza è costata meno del previsto (solo 3.878,7 milioni rispetto ai 5.728,6 milioni di euro
stanziati, e spendere di meno è sicuramente un bene) – ed inoltre dice che ha avuto un
sensibile effetto in termini di riduzione dell’indice di povertà: quindi meno
gente disperata – meno suicidi per disperazione – meno dolore – meno degradazione - e questo sul
piano umano è un risultato notevole.
Dice
pure che solo il 2% ha trovato lavoro con il collocamento tramite Centri d’impiego
e Navigator – Quindi c’è qualcosa che non va in questo sistema di trovare
lavoro. I Navigator non potevano trovare un lavoro da proporre perché non ci
sono stati investimenti per aumentare il lavoro (e lo dice il Procuratore della Corte
dei Conti). E io aggiungerei che quel
poco di lavoro che c’era non è arrivato neanche ai Centri per l’impiego perché
nessun obbligo di notifica di richieste è stato previsto per le Aziende, quindi
i Navigator dovevano gestire il nulla e questo nulla ha prodotto il 2%. (francesco zaffuto)
martedì 9 giugno 2020
Lavorare meglio, meno e tutti
intervento di
Lorenzo Andorlini
(da Rifrazione Critica http://rifrazionecritica.it/lavorare-meglio-meno-e-tutti/?fbclid=IwAR0eVJJ9Zq5iOD7cAZc4LA-T8m5H9f-ubuceTHtXJtTDM6EULrjhWDkHX_I)
Mi ricordo quando le persone più grandi ci spiegavano come prima il lavoro era una tappa obbligata e scontata nella vita di tutti. Oggi invece trovare un impiego è difficile e per nulla scontato, le assunzioni sono sempre meno, i contratti instabili e gli stipendi molto spesso bassi.
La disoccupazione riguarda più del 10,6% del totale della popolazione Italiana, con punte del 30% quando si parla della fasce più giovani del paese. I dati riportati sono stati raccolti prima della pandemia di Corona Virus, che ha avuto e avrà degli effetti devastanti sull’economia con inevitabili conseguenze anche sul mondo del lavoro.
Il Loockdown, giustamente adottato dal governo per contrastare l’espandersi del Covid-19, ha comportato nel mese di Marzo, Aprile e parte di Maggio, il quasi totale azzeramento della domanda per alcuni settori, ciò ha fatto andare in crisi tantissime attività produttive, con concrete possibilità nel futuro immediato di perdere molti posti di lavoro, con conseguenze sociali ed economiche catastrofiche.
L’attuale situazione ci costringe a effettuare una riflessione sulla necessità di rimodulare il concetto di lavoro e le sue modalità, cercando di trovare soluzioni per tutelare il più possibile l’occupazione, gli stipendi e diritti dei lavoratori e la sopravvivenza delle stesse aziende.
Noi di Orizzonte crediamo che per far fronte a questa emergenza sia arrivato il momento di attuare una vera riforma del lavoro, partendo da un abbassamento dell’orario lavorativo da 8 a 6 ore a parità di salario. L’equità di salario dovrà essere corrisposta al lavoratore attraverso una diminuzione (progressiva in base al salario) dalla tassazione sugli stipendi e un aumento della paga oraria dovuta al rinnovo dei contratti di categoria.
La riduzione dell’orario lavorativo oltre alle aziende che lavorano a ciclo continuo, le quali vedrebbero aumentare da 3 turni di 8 ore a 4 turni di 6, permetterà alle altre aziende di spalmare su più turni la propria operatività (2 turni da 6 ore o 3 turni da 6), aumentando così le proprie capacità produttive e di conseguenza il numero di persone occupate.
Lo stato incentiverà le aziende a ridurre le fasce orarie lavorative attraverso degli appositi bonus fiscali, così da ridurre la pressione fiscale sulle imprese.
Per ultimo a beneficiarne di tale iniziativa sarà anche lo stesso stato, perché se più gente lavora, maggiori saranno le entrate fiscali, inoltre più persone avranno potere d’acquisto da utilizzare accrescendo così l’economia.
Attuando questa rivoluzione nell’orario lavorativo ne guadagneremo tutti, sia da un punto da un punto di vista economico, garantendo il lavoro a molte più persone e potere d’acquisto, che di libertà con la possibilità di avere ancora più tempo libero a nostra disposizione.
Avremo la possibilità di uscire velocemente da questa crisi economica, solo se riusciremo a fare scelte coraggiose e di vero cambiamento, atte a cercare di migliorare la vita della maggioranza dei cittadini, senza favorire chi porta avanti interessi speculari e nocivi sulla pelle dei più.
Al contrario, rimandare questa riforma porterebbe a un mercato del lavoro profondamente segnato dalla crisi del Corona Virus, dove l’incertezza e la mancanza di stimoli ci condurrebbero a una crisi che rischierebbe di diventare oltre che economica anche sociale, dove a farne le spese saremo tutti indistintamente.
Lorenzo Andorlini
post inserito il 09/06/2020
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